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Specchio e Ferite dell'Anima - Le persone sono portali verso la nostra verità

  • Immagine del redattore: Alessia Notari
    Alessia Notari
  • 23 lug
  • Tempo di lettura: 3 min
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Dietro ogni comportamento si nasconde una storia che spesso nessuno vede. Nel cuore delle relazioni si cela un segreto: spesso non reagiamo a ciò che gli altri fanno, ma a ciò che essi risvegliano in noi. Le emozioni che emergono quando veniamo feriti, irritati o turbati non sono causate unicamente dagli altri, ma dalla risonanza con le nostre stesse ferite interiori non guarite.


Chiamata la "legge dello specchio", ci porta chiarezza sul fatto che le persone che incontriamo non sono casuali, ma fungono da specchi viventi: riflettono aspetti di noi che, consciamente o inconsciamente, non vogliamo vedere. Quando accusiamo qualcuno di essere egoista, invadente, freddo o giudicante, la domanda profonda è: "Dove, dentro di me, esiste qualcosa di simile?". Invece di proiettare all'esterno ciò che non accettiamo, possiamo scegliere di osservare con sincerità ciò che quella reazione sta cercando di insegnarci.


Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica, ha ampiamente esplorato questi meccanismi attraverso il concetto dell'Ombra. Per Jung, ogni essere umano possiede una parte nascosta, repressa, che contiene sia elementi negativi che talenti non ancora espressi. L'Ombra si manifesta proprio attraverso gli altri: tutto ciò che ci infastidisce nel comportamento altrui è spesso un riflesso di ciò che non vogliamo ammettere in noi stessi. Jung scriveva:


"Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a una comprensione di noi stessi"


Accogliere questa prospettiva non significa in alcun modo giustificare comportamenti dannosi o ferite inflitte da altri. Significa invece scegliere di cambiare sguardo: da vittime passive degli eventi, a esploratori consapevoli del nostro mondo interiore. Ogni relazione difficile, ogni persona che ci ha toccato nel profondo - anche in modo doloroso - può diventare uno specchio attraverso cui riconoscere ciò che abbiamo bisogno di guarire dentro di noi.


Ma questo percorso non richiede durezza o giudizio verso noi stessi. Al contrario, richiede immensa dolcezza. Possiamo imparare a dire: “Capisco perché ho reagito così. Sto imparando. Sto guarendo.” Accettare che ogni passo, anche quelli più faticosi, fanno parte della nostra evoluzione ci libera da sensi di colpa e ci apre alla possibilità di trasformare la sofferenza in consapevolezza.


È un atto di coraggio gentile.

È il permesso che ci diamo di crescere con amore.


Anche Byron Katie, con il suo metodo “The Work”, ci accompagna in un percorso di trasformazione interiore che parte da una domanda semplice e disarmante: “È vero?”. Quando ci troviamo a soffrire a causa di un pensiero doloroso - come “Lui non mi rispetta” o “Lei non mi ascolta” - possiamo fermarci e indagare la verità profonda di quel pensiero. Le quattro domande che propone non servono a negare l’esperienza, ma ad aprire uno spazio di consapevolezza: “È vero?”, “Puoi sapere con assoluta certezza che è vero?”, “Come reagisci quando credi a quel pensiero?” e “Chi saresti senza quel pensiero?”.


Con delicatezza e chiarezza, ci guida verso una visione più ampia, in cui anche il dolore può diventare rivelazione. Il passaggio finale, il “capovolgimento”, ci invita a guardare dentro, a riconoscere che ciò che giudichiamo nell’altro spesso riflette un bisogno non accolto, una parte di noi che chiede ascolto. Non per colpevolizzarci, ma per prenderci cura di noi stessə. In questo modo, anche il conflitto diventa una possibilità di guarigione e l’altro, anziché un nemico, può trasformarsi in un prezioso alleato nel nostro cammino di crescita.


In questo quadro si inserisce anche la teoria delle "Cinque Ferite dell'Anima" (Les 5 blessures) di Lise Bourbeau, che descrive come le esperienze infantili di rifiuto, abbandono, umiliazione, tradimento e ingiustizia generino maschere di comportamento che portiamo nell'età adulta. Quando reagiamo intensamente a qualcuno, è spesso perché quella persona ha innescato una ferita antica.


Riconoscere le proprie ferite - e non pretendere che gli altri si comportino in modo da non toccarle - è un atto di enorme responsabilità interiore. Significa assumersi la responsabilità della propria guarigione, smettere di accusare e iniziare a comprendere.


Le tradizioni spirituali di ogni tempo hanno espresso questo concetto con immagini potenti. Gesù, nel Vangelo secondo Matteo (7, 3-5), ammonisce:


"Perché guardi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che è nel tuo?".

La trave, simbolo della nostra cecità interiore, ci impedisce di vedere chiaramente.


Ed il poeta mistico Rumi ci ricorda con dolce fermezza:


"I tuoi difetti non sono che specchi delle ferite che rifiuti di guardare.

L'altro è solo il riflesso di ciò che hai dentro"


Accogliere la legge dello specchio non è facile, ma è una via maestra per la libertà interiore. Ci permette di smettere di essere vittime e di iniziare a vedere ogni relazione come un dono, ogni ferita come una soglia di guarigione, ogni scontro come un richiamo all'anima.


Per chi cerca strumenti di risveglio e consapevolezza: #ilprontosoccorsodellanima

 
 
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