Postura ed emozioni: non è sempre una cattiva postura, ma una emozione che ci chiede ascolto!
- Alessia Notari

- 10 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 15 lug

Non è sempre il corpo a “sbagliare”. Spesso non si tratta affatto di una postura errata o di un difetto fisico da correggere, ma del linguaggio silenzioso delle emozioni che si fanno forma, struttura, movimento.
La tensione che si accumula nelle spalle, la schiena che si incurva, il torace che si chiude: sono risposte profonde a ciò che viviamo dentro, non sempre visibili fuori. Il corpo non ci tradisce: ci svela, ci racconta, ci accompagna nel processo più importante che abbiamo il diritto di intraprendere: quello della consapevolezza di sé.
Secondo Godelieve Denys-Struyf, ideatrice del metodo GDS, il corpo umano è attraversato da sei catene muscolari e articolari principali. Ognuna di queste catene rispecchia una modalità relazionale ed emotiva: quando un’emozione si ripete nel tempo, o non viene integrata, il corpo può cominciare ad adattarsi a essa, fino a costruire una postura “cristallizzata” in quel sentire.
Chi vive nella paura, per esempio, tende a chiudersi: le spalle si flettono in avanti, il petto si abbassa, la testa si sporge. Al contrario, chi si sente sicuro e stabile, spesso assume una postura più aperta, distesa, radicata.
A supportare questa visione, anche il lavoro di Thomas Myers con le sue “linee miofasciali” - meridiani di tessuto connettivo che mettono in relazione aree corporee anche lontane tra loro. Secondo Myers, le tensioni si muovono lungo queste linee in modo sistemico: una contrattura in una zona può generare squilibri posturali anche a distanza.
Ed è qui che emozioni e fisicità si fondono: perché, quando un’emozione resta imprigionata in un gesto, in una postura o in un’area del corpo, può iniziare a influenzare tutto l’assetto globale
Questo legame tra emozione e struttura diventa ancora più evidente in fasi delicate della vita, come la gravidanza e il post-partum. Durante questi mesi così intensi, il corpo cambia, si apre, si riorganizza. Ma anche il mondo interiore della donna si trasforma.
Ci sono paure nuove, responsabilità, gioie, stanchezze profonde, talvolta non dette. Alcuni studi hanno dimostrato che le donne in gravidanza o nei mesi successivi tendono a sviluppare posture legate al vissuto emotivo: alcune si chiudono, si contraggono, come a proteggere; altre si protendono in avanti, come se dovessero sostenere tutto da sole. Il corpo, ancora una volta, racconta.
Ma c’è un altro aspetto spesso trascurato: la consapevolezza corporea.
Non basta “fare movimento”. Occorre abitare il corpo, ascoltarlo, farne un compagno di viaggio. Camminare, salire le scale, sollevare un peso, persino lavarsi i denti: ogni gesto quotidiano può diventare un’opportunità per riconnettersi con sé stessi.
Nei percorsi che propongo, questo è uno degli aspetti centrali: fare in modo che ciò che si sperimenta insieme - in uno spazio sicuro e fatto di movimenti misurati e consapevoli - possa poi continuare a vivere nella quotidianità. Non solo durante il tempo che condividiamo, ma anche e soprattutto nei piccoli momenti di ogni giorno. Portare il bacino in retroversione per proteggere la colonna, prestare attenzione a come si sta seduti alla scrivania, sciogliere le spalle dopo ore al computer, sentire i piedi quando si cammina in strada... sono gesti semplici, ma profondi.
E quando diventano abitudine consapevole,
possono cambiare davvero la relazione con il corpo e con te stessə.
Ogni persona che incontro è diversa: nella struttura, nella storia, nella sensibilità. Per questo ogni percorso nasce da un ascolto profondo e da un'anamnesi accurata, che tiene conto non solo dell’aspetto fisico, ma anche di quello emotivo ed energetico - se la persona sente di voler esplorare anche quella dimensione.
Credo nel lavoro individuale, equilibrato, armonioso e melodico come una sinfonia di Mozart.
Un percorso che accompagni, sostenga, accolga.
Un viaggio in cui il corpo non viene “aggiustato”, ma riconosciuto.
E dove il movimento diventa strumento per tornare a casa.
Non dovremmo vedere il nostro corpo come qualcosa da correggere. Al contrario, è una componente vivente del nostro essere che cerca solo di essere compresa, rafforzata e curata con affetto. E attraverso un lavoro rispettoso, silenzioso, fatto di piccoli gesti ripetuti nel tempo, può tornare ad essere un alleato profondo del nostro benessere - dentro e fuori.
Come scrisse Carl Gustav Jung, grande psichiatra e fondatore della psicologia analitica: "Fino a quando non renderai cosciente l’inconscio, sarà quest’ultimo a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino."
Rendere consapevole il corpo è già un atto di guarigione.
Un gesto d’amore. Un ritorno a casa.
Per chi cerca strumenti di risveglio e consapevolezza: #ilprontosoccorsodellanima



